L’azienda

Vitis Aurunca sorge tra le pendici del monte Massico e quelle del vulcano di Roccamonfina, il Mar Mediterraneo e la Via Appia.
L’azienda nasce nel 2007 dalla visione di agronomi appassionati e celebra le terre fra il Monte Massico e il Garigliano, dove gli antichi romani un tempo lodavano i frutti di questi suoli vulcanici. Oggi l’Azienda possiede e conduce vigneti, oliveti, frutteti e mandorleti, quindi produce vino, olio e frutta. Le diverse colture assicurano la presenza della manodopera lungo tutto l’anno, grazie alle diverse stagionalità che hanno le varie colture.

In principio erano solo pochi gli ettari coltivati mentre oggi le proprietà ha raggiunto una vasta estensione. Per circa la metà la proprietà è collocata in località Cellole (CE) sulla Domiziana al km 8,800 su ambo i lati. Altri terreni dell’azienda agricola rientrano nel comune di Sessa Aurunca e riguardano le coltivazioni di vigneti e oliveti. Si tratta di colture biologiche certificate nella parte collinare e integrate sulla costa. L’Azienda, quindi, commercializza sia prodotti provenienti da coltivazioni biologiche che integrate.
In ogni grappolo, si riscoprono tradizioni antiche, accanto a valori aziendali di rispetto ambientale, cura per biodiversità e etica nella produzione. Vitis Aurunca si impegna nella salvaguardia del suolo, nell’uso razionale dell’acqua e in pratiche agronomiche sostenibili, evitando l’erosione e favorendo la stabilità del terreno. La tecnologia moderna si fonde con la saggezza antica: motori efficienti, riduzione delle emissioni di CO2, e un ricorso a energie rinnovabili con pannelli fotovoltaici.

La storia

Nelle terre dove ora sorge Vitis Aurunca, un tempo, le colline si elevavano in un sussurro silenzioso verso i cieli azzurri della Campania. Qui, tra i declivi dolci del Monte Massico, l’antica Sinuessa, e le pendici del vulcano spento di Roccamonfina e il Mar Tirreno, nacque una leggenda: il Falerno, il nettare degli dei romani.
Questa storia comincia con un incontro mitologico, narrato dal poeta Silio Italico. Bacco, dio del vino, in sembianze umane, chiese ospitalità al vecchio Falerno. Colpito dalla generosità dell’anziano, Bacco trasformò quei pendii in vigne lussureggianti, segnando l’inizio di una tradizione enologica senza tempo.
Il Falerno, inizialmente secondo alcune ricostruzioni si crede sia stato un bianco dorato prodotto dalla falanghina, abbracciò poi anche le sfumature del rosso, grazie all’aglianico e al primitivo. Era un vino di un carattere così forte e severo che il poeta Orazio lo definì “ardens”, un vino di fuoco. Necessitavano anni di invecchiamento, fino a due decadi, per ammorbidire la sua asprezza e rivestirsi di una complessità inarrivabile.
Le tavole degli antichi romani si ornavano di questo vino prestigioso. Petronio Arbitro, nel suo Satyricon, narra di un Falerno centenario servito durante la sontuosa cena di Trimalcione. Un tributo alla sua leggendaria longevità.

In quel tempo, oltre 150 produttori coltivavano queste terre, creando il Falerno in tre diverse qualità: l’austerum, il dulce, e il tenue che venivano vendute in tutto l’Impero Romano in anfore di terracotta, munite di “Pittacium”, antesignane delle moderne etichette che mostravano il tipo di vino, l’anno di produzione e la zona di provenienza delle uve. Era un vino così versatile da essere diluito con acqua o arricchito con miele e spezie.

Le anfore di Falerno venivano trasportate per mare dai porti di Sinuessa, Gianola e dalla foce del Garigliano, raggiungendo luoghi come Manchester, Marsiglia, Dusseldorf, Colonia e Cartagine nel nord Africa. La diffusione di queste anfore in tutto il Mediterraneo testimonia la popolarità e il prestigio del Falerno, considerato il vino dei re e il più costoso e desiderato dell’Impero Romano.
Il Falerno, inizialmente secondo alcune ricostruzioni si crede sia stato un bianco dorato prodotto dalla falanghina, abbracciò poi anche le sfumature del rosso, grazie all’aglianico e al primitivo. Era un vino di un carattere così forte e severo che il poeta Orazio lo definì “ardens”, un vino di fuoco. Necessitavano anni di invecchiamento, fino a due decadi, per ammorbidire la sua asprezza e rivestirsi di una complessità inarrivabile.
Le tavole degli antichi romani si ornavano di questo vino prestigioso. Petronio Arbitro, nel suo Satyricon, narra di un Falerno centenario servito durante la sontuosa cena di Trimalcione. Un tributo alla sua leggendaria longevità.

In quel tempo, oltre 150 produttori coltivavano queste terre, creando il Falerno in tre diverse qualità: l’austerum, il dulce, e il tenue che venivano vendute in tutto l’Impero Romano in anfore di terracotta, munite di “Pittacium”, antesignane delle moderne etichette che mostravano il tipo di vino, l’anno di produzione e la zona di provenienza delle uve. Era un vino così versatile da essere diluito con acqua o arricchito con miele e spezie.

Le anfore di Falerno venivano trasportate per mare dai porti di Sinuessa, Gianola e dalla foce del Garigliano, raggiungendo luoghi come Manchester, Marsiglia, Dusseldorf, Colonia e Cartagine nel nord Africa. La diffusione di queste anfore in tutto il Mediterraneo testimonia la popolarità e il prestigio del Falerno, considerato il vino dei re e il più costoso e desiderato dell’Impero Romano.
Ma il Falerno non era solo un simbolo di gusto: era un marchio di status. Cesare, in celebrazione delle sue vittorie, lo offriva nei suoi banchetti. Cleopatra stessa presentò a Cesare “Falerno puro e resistente”. La sua fama si estendeva ben oltre i confini di Roma, raggiungendo i mercati di Alessandria d’Egitto, Cartagine, Bretagna e Spagna.
Questo vino era un simbolo dell’eccellenza enologica romana. Come afferma Virgilio, nessun vino poteva essere paragonato al Falerno. Era un prodotto di tale prestigio che i romani ne garantivano l’origine e l’annata con targhette sulle anfore, un antenato del moderno concetto di DOC.

Con le invasioni barbariche del III secolo cominciò l’epoca meno felice per il Falerno. I vigneti furono saccheggiati e la viticoltura sopravvisse solo grazie alla cura dei monaci, custodi di questo liquido sacro necessario per il rito dell’Eucarestia.

Oggi, tra i vigneti di Vitis Aurunca, riecheggiano le voci di quell’antica grandezza. La passione per il Falerno rivive, un ponte tra passato e presente, una promessa di qualità e storia. Qui, dove il tempo sembra essersi fermato, ogni goccia di Falerno racconta una storia antica di uomini e Dei, di terre fertili e di tradizioni immortali. E ogni sorso è un viaggio nel tempo, un’esperienza che trascende i secoli, portando con sé l’eco di una civiltà che non ha mai smesso di celebrare la vita attraverso il nettare dei suoi vigneti.